Intervista a Emanuele Martinelli. Quando il distopico è ambientato a Bormio Emanuele Martinelli, ventiduenne di sangue bormino, inizia a scrivere all’età di sedici anni. Allegra! è il suo primo romanzo, che conclude e pubblica nel 2017 con Lettere Animate, mettendo in campo tutti i suoi studi in filosofia che lo portano poi a iscriversi all’Università della Svizzera Italiana di Lugano. Anche lui parteciperà al festival Libri in Valle e lo si potrà trovare già alla seconda tappa che sarà ad Ardenno il 3 maggio. Il suo è un romanzo molto originale, che narra di un futuro lontano ma che coinvolge nell’ambientazione anche i territori a noi vicini, come Bormio. Ne abbiamo parlato con lui. Come definirebbe il genere del suo libro? Diciamo che non è un libro da leggere sotto l’ombrellone… se non come cuscino da mettere sotto al telo. È un romanzo di formazione che prende piede in un quadro distopico. Un po’ come 1984 di George Orwell, per intenderci. Però direi di essermi ispirato maggiormente, per quanto riguarda il messaggio del mondo futuro in cui è ambientato Allegra!, a Il mondo nuovo di Aldous Huxley. Secondo me, benché sia stato scritto vent’anni prima, ha avuto il pregio di farci capire che non sarà più direttamente una dittatura a disumanizzarci: saranno movimenti spontanei in seno alla nostra società moderna, plasmata dalle nuove tecnologie e al cattivo modo che hanno le nostre istituzioni di farcele assorbire. Quindi, direi Allegra! è un romanzo distopico di formazione con dense parentesi filosofiche e politiche. Ce lo presenti brevemente. Nel 2173, il mondo è unito sotto un unico governo mondiale, e l’unica lingua che viene parlata sul pianeta è l’Americano. Con la tecnologia e col computer si può ormai fare qualunque cosa, quindi la gente ha perso letteralmente l’abitudine di uscire dalla propria casa. Dal lontano 2086 tutti abitano in grandi palazzoni, l’uno ammassato sull’altro, all’interno di gigantesche metropoli. E, incoraggiati dai media governativi, la vita di chiunque si svolge tra social network, mode, polemiche sterili, status symbol. Brian, il protagonista, viene contattato un giorno dalla misteriosa figura di Peider. Comincerà a fargli delle domande… scomode: non hai mai guardato che c’è fuori dalla tua finestra? Non sei curioso di sapere com’è fuori? Perché vivi così? È giusto? Come fai a saperlo? Così Brian ad un certo punto decide di scappare e lasciarsi tutto alle spalle; spinto come da un istinto da uccello migratore si ritrova proprio a Bormio, il paese dove sono cresciuto io, che è stato abbandonato da quasi un secolo. Lì cercherà un nuovo modo di vivere la vita, vivendo intensamente le cose che noi oggi diamo paradossalmente più per scontate. Quali sono gli autori che la ispirano maggiormente? Ci sono tante risposte a questa domanda. E allo stesso tempo mi imbarazza un po’, perché, sia per quanto riguarda la narrativa che la saggistica, non sono un tipo che legge tanto quanto scrive. In ogni caso, la filosofia che sta dietro ad Allegra!, se devo individuare dei nomi, arriva in parte da John Locke e da Friedrich Nietzsche, nonché da elaborazioni mie, ovviamente. Ci sono espliciti riferimenti, soprattutto al secondo. Le problematiche sollevate in Allegra!, il delicato rapporto tra l’uomo e la natura, nella ricerca della felicità e della realizzazione, alla prova della globalizzazione e del vertiginoso progresso di questi decenni, mi sono state suggerite soprattutto da un libricino molto ben fatto del sociologo francese Marc Augè, I non-luoghi. Ma la scintilla scatenante che m’ha suggestionato all’inizio, quando avevo 16 anni, e mi ha spinto a raccontare una storia su tutta questa faccenda m’è arrivata soprattutto da un fenomeno nato in Giappone, quello degli hikikomori – persone che letteralmente scelgono di tagliare i ponti con la propria vita e si barricano in casa, per viverne una nuova, anzi un nuovo tipo di vita, su social network e videogiochi davanti al loro computer. Dal punto di vista narrativo, ovviamente ero molto colpito da Orwell e Huxley, come ho già detto. Anche Philip Dick, tra l’altro autore dell’opera distopica da cui è stato tratto Blade Runner, ha contribuito all’atmosfera vagamente cyberpunk del romanzo. Oggi, ho conosciuto più a fondo Hermann Hesse, che, sicuramente, ha uno stile nelle sue trame molto vicino a quello che avrei voluto fare io. Anche se – devo ammettere una scelta un po’ impopolare – un autore che mi ha stregato e sicuramente guiderà il mio modo di scrivere in futuro, è Haruki Murakami. Segue un metodo preciso di scrittura o si fa guidare dal momento? Direi senza dubbi che per me la scrittura creativa è il momento più pieno e più soddisfacente delle mie giornate. Ma, siccome ho sempre dovuto ritagliarmi il tempo per scrivere da studi molto serrati, non ho mai avuto una continuità sufficiente per elaborare un metodo tutto mio. Mi faccio un po’ guidare dalla suggestione: vedo un paesaggio, un tramonto, un angolo di bosco che non avevo mai esplorato in montagna, il mare, e allora vado a prendere carta e penna, mi siedo, e trasformo in scene e personaggi quelle sensazioni altrimenti indescrivibili. Quanta parte ha la musica nella sua scrittura? La ascolta mentre scrive? Molta, ma non si vede. Quando scrivo, preferisco avere una concentrazione totale, ed essere al silenzio, io solo con la pagina bianca. Però la musica è un ottimo motore per quelle suggestioni necessarie a vedere il mondo mutato sotto altri punti di vista: quando vado a correre, o sono in macchina o cammino con certa musica in certi momenti, allora lì raccolgo grandi momenti di ispirazione. È come se la solita vita di sempre si colorasse di una nuova sensibilità, che confluisce nella personalità di un nuovo personaggio – è come entrare a contatto con l’anima di qualcun altro, forse. Parlo sia di musica colta, classica o contemporanea, ma anche di musica leggera, se fatta con una certa profondità di fondo, che raramente si trova in ciò che circola in radio o in televisione. Che libri ha letto/riletto di recente? Gli ultimi libri che ho letto, parlando di narrativa, sono Dance, Dance, Dance di Murakami, I malavoglia di Verga (autore di cui ammiro molto lo stile e il ruolo che attribuiva alla scrittura) e Ubik di Philip Dick. Domanda bonus: se dovessi dire quale libro ha più cambiato il mio modo di vedere le cose in assoluto direi Aut aut del filosofo danese Søren Kierkegaard, ma quello che invece è il mio preferito, per quanto ha saputo scuotermi dall’interno e lasciarmi a pensare tra la narrativa, direi Kafka sulla spiaggia di Murakami. Ha un consiglio da dare ad un aspirante autore? Potrebbe suonare contraddittorio, ma non lo è. Al giorno d’oggi viene pubblicata qualsiasi cosa; addirittura, molte volte basta essere molto seguiti su Instagram o su YouTube per avere un contratto con una casa editrice. Questa è una cosa bella di per sé, perché ognuno ha la possibilità di farsi leggere dagli altri e di far sentire la propria sensibilità ad altre persone, di raccontare come vive lui la vita. Ma è anche una sfida nuova: in precedenza, chi scriveva qualcosa che non era realmente ispirata, veniva bloccato sul nascere, purtroppo o per fortuna, mentre oggi non c’è più questa sorta di censura preliminare. Quindi questa dev’essere un’esortazione a pensare bene alla qualità di ciò che si scrive. Non è sufficiente essere pubblicati per smettere di cercare e ritenere di aver detto tutto ciò che si aveva da dire. Né che il livello di profondità e di raffinatezza che si è raggiunto sia sufficiente. Allo stesso tempo, però, se si crede davvero che la propria creatura sia tanto fine da rispecchiare la propria sensibilità e la propria visione delle cose, non c’è ragione di trattenersi e di vergognarsi. Proporsi alle case editrici non costa (quasi) niente, al limite la soddisfazione che se ne riceverà sarà grandissima! Ricordiamo l’appuntamento per incontrare Emanuele e il suo romanzo Allegra!: venerdì 3 maggio ad Ardenno, ore 20:00, presso Fondazione Ulisse. Intervista a cura di Gabriele Dolzadelli ePaolo Redaelli |
Data inserimento : | 01/05/2019 |
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